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Buongiorno

16.02.2017 - Buongiorno Italia

E FAMOLA STA SCISSIONE!

Buongiorno Italia. “E famola sta scissione!”, direbbe Francesco Totti, ben sapendo di star parlando di una cosa molto meno seria del nuovo stadio di Roma. E non solo per i romani.
Ma sì: se dobbiamo tornare – come dice Renzi – alla politica dei caminetti, ai complotticchi decisi a cena, agli interminabili riti tribali delle correnti incarnate perfino da cinque persone cinque, meglio farla sta scissione.
La differenza tra il partito di un dittatore – quello di Beppe Grillo, ad esempio – ed un Partito Democratico di nome e di fatto, è la seguente: nei Cinquestelle, Grillo prima decide cosa si deve fare poi lo fa “decidere” alla rete; nel Partito Democratico di nome ma non di fatto che abbiamo, la base – ossia la maggioranza – decide cosa si vuole fare e la minoranza minaccia che se si fa così è scissione.
E allora, vivaddio, ben venga sta scissione! Anche perché, al fondo delle cose, quelli che minacciano la scissione – cioè D’Alema e Bersani – sono gli stessi che avevano tentato di fare un grande Partito Democratico – grande, coeso e soprattutto “di sinistra”, e pare che abbiano fallito –qui, sì – alla grande.
Eppure, questi professori di democrazia non dovrebbero ignorare la prima, ferrea, insostituibile regola democratica: si discute, si grida, ci si prende a pesci in faccia, ma alla fine della discussione, degli strilli, dei Tif (Trattamenti ittico-facciali), c’è – “democraticamente” – una maggioranza che decide e una minoranza che si adegua. Quando poi accade, se accade, che quella minoranza diventa maggioranza – perché è stata più persuasiva nei confronti del popolo democrat sovrano – ecco che può e deve pretendere che l’ex maggioranza diventata minoranza si adegui.
Non è un gioco di parole. E’ il gioco della democrazia. Quella infallibile che ci hanno tramandato gli antichi greci, quella che è scritta a lettere cubitali e in tutte le salse nella nostra Costituzione, la medesima Costituzione trionfata nel Referendum che ha visto schierati per il No e poi brindare i D’Alema, i Bersani e tanti altri potenziali scissionisti del Pd (che brutto sostantivo, ricorda certa roba di Napoli, anche se – precisiamo – non è quella roba).

E famola sta scissione. Non se ne può più di una minoranza che vuole imporre con le minacce ciò che evidentemente non riesce ad ottenere con la forza del ragionamento, con la capacità di persuasione. E’ la minoranza della “presunzione” e della “pretesa”. La presunzione d’essere la migliore categoria politica, oltre che dello spirito. La pretesa di vantare la ragione anche quando la stragrande maggioranza dice che ha torto.

Ha sintetizzato bene il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca, nell’intervento alla direzione nazionale del Pd di lunedì scorso: “Se la preoccupazione della minoranza è garantire a tutti noi che non ci sia una dittatura della maggioranza e garantire il dissenso, sono d’accordo. Ma se si immagina un’interdizione del diritto di un segretario eletto di esprimere la propria direzione, io non sono d’accordo. E il voto di fiducia deve essere un vincolo di lealtà per tutti”.
Parole semplici, chiare, giuste. Parole di democrazia.
Matteo Renzi non sta bene a questa minoranza nonostante abbia una schiacciante maggioranza? Provi questa minoranza a diventare maggioranza, senza minacce e senza ipocrisie. Oppure, la faccia sta scissione. Provando anche a immaginare, però, cosa resta dopo la scissione. “Cui prodest?”, se non ai dittatorelli populisti. Quelli alla Grillo, per intenderci, che hanno la stessa presunzione e pretesa democratica dei D’Alema e dei Bersani: con la sola differenza che presunzione e pretesa dei Grillo poggiano comunque su una maggioranza conquistata con la forza della persuasione. Poco importa se quella forza persuasiva è il naturale effetto della debolezza di decenni di malapolitica.