13.11.2019 - Buongiorno Irpinia
Lunedì sera ad Avellino per inaugurare la campagna di tesseramento, il vicesegretario nazionale del Pd, Andrea Orlando, ha avuto gioco facile nel provocare Matteo Salvini sul piano della legalità. Troppo ghiotto, per rinunciarvi, l’assist fornitogli dalle ultime vicende giudiziarie che hanno fatto ipotizzare alla Dda il voto di scambio politico-mafioso a carico del coordinatore provinciale (sospeso) della Lega irpina, Sabino Morano, e dell’ex consigliere comunale Damiano Genovese.
“Salvini – ha detto Orlando – non può limitarsi a dire che ha allontanato le mele marce, ma dovrebbe spiegare come mai ha consentito che si avvicinassero”. Bisogna convenire che il materiale di rilievo politico, al di là degli esiti giudiziari che verranno, ci sta tutto. Certo, le generalizzazioni non aiutano a circoscrivere il giudizio ai singoli episodi e alle responsabilità penali, che sono e restano sempre individuali. Ma diciamoci la verità: nessuno – al pari di Orlando, specie in questa fase di forte tensione politica, a Roma come in periferia – si sarebbe fatto scappare l’occasione per alzare il tiro.
Io ritengo, piuttosto, che sul piano della utilità politica il vicesegretario Pd, almeno qui in Irpinia, non ci abbia ricavato nemmeno un mezzo consenso. Per una ragione molto semplice. Le intercettazioni ambientali della Dda sul Nuovo Clan Partenio hanno portato alla luce una realtà molto più complessa, alla quale peraltro non sono apparsi estranei personaggi – chiamiamoli pure, con un pizzico di enfasi, “grandi elettori” – notoriamente vicini a candidati di area Pd. E poiché queste son cose di pubblico dominio, quindi in qualche misura acquisite dalla coscienza politica avellinese, non è affatto difficile far di conti del dare e dell’avere in termini elettorali.
Così è se vi pare. A prescindere dall’incolpevole inconsapevolezza di Andrea Orlano.