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La Siringa

di Mila Martinetti

21.03.2022

Femminicidio: una sentenza da brividi

Ridotto all’essenziale, il fatto di cronaca è il seguente. Il 5 aprile 2020 una donna di 34 anni, Viviana Caglioni, muore all’ospedale “Giovanni XXII” dopo sei giorni di agonia a causa delle violenze fisiche inflittale dal fidanzato e convivente 43enne Cristian Locatelli.
La Corte D’Assise, a fronte dell’ergastolo per omicidio volontario chiesto dall’accusa, ha condannato l’assassino a 18 anni per “morte come conseguenza di maltrattamenti”. Il Pm ha prodotto ricorso sostenendo la “illogicità” della sentenza.
Invero, qualcosa di arcano appare evidente in alcuni passaggi rilevanti del dispositivo dei giudici. In particolare il seguente. “Locatelli agiva mosso da un senso di gelosia e da un senso di possesso nei confronti di Viviana in sé incompatibile con la volontà di ucciderla”. In altri termini, l’omicida era così geloso della donna che non poteva volerne la morte.
Mi perdoneranno i Signori Giudici se, irriverentemente, mi spingo a chiedere su quale pianeta vivano. Nel Femminicidio non sono quasi sempre il “senso di gelosia” e il “senso del possesso” a muovere la volontà dell’assassino? Sei di mia proprietà, soltanto mia e perciò ti uccido?
Diciamolo, ancora con dichiarata irriverenza: certe sentenze – Signori Giudici – non solo uccidono le donne due volte, quant’anche e soprattutto “istigano” al femminicidio.