08.07.2022
L’ex 5Stelle (ma ora cos’è?) Alessandro Di Battista ha commentato ieri con sarcasmo l’esito dell’incontro di mercoledì del Capo del Movimento, Giuseppe Conte, con il Presidente del Consiglio, Mario Draghi.
Ha detto: “E anche oggi M5S esce dal governo domani. Esprime a Draghi il proprio disagio. Come se uno dei peggiori premier della Storia fosse un prete nel confessionale... Chissà, magari il Movimento uscirà dal governo dopo l’estate, quando i parlamentari avranno maturato la pensione... Magari uscirà dopo la finanziaria, momento d’oro per chi è alla ricerca di denari da trasformare in markette elettorali. O forse non uscirà mai. Intanto anche i più irriducibili sostenitori M5S, gli ultimi giapponesi direi, si domandano come sia stato possibile ridurre la più grande forza politica del Paese nella succursale della pavidità e dell’autolesionismo”.
Strano che Di Battista – uno che trancia giudizi universali su Draghi, manco sedesse alla destra del Padre, mentre è nient’altro che un modestissimo mortale – non sappia che la risposta alla sua domanda “non “sta soffiando nel vento” ma è molto più semplice di quanto egli possa immaginare. La risposta è che il M5S diventò la più grande forza politica del Paese – il 4 marzo del 2018 – soltanto per un banale incidente della storia: gli italiani erano così tanto incazzati contro la Vecchia Politica che si lasciarono incantare dalla suggestione rivoluzionaria grillina. Messo alla prova, con in mano la maggior parte del potere governativo, il Movimento ha dimostrato quanto effettivamente vale, in sostanza una misura prossima allo zero. Ma se, nella disfatta finale, ai 5Stelle rimasti a combattere in trincea va comunque riconosciuto l’onore delle armi, al rivoluzionario a chiacchiere Di Battista può essere soltanto concessa la medaglia al “disvalor militare” della fuga dal Movimento. Altro che il suo delirio d’onniscienza politico-istituzionale condito di sciatti moralismi cinquanta centesimi al quintale.