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Buongiorno

22.10.2017 - Buongiorno Irpinia

In ricordo di Paolo Urciuoli e Rocco Capone. E di tutte le persone semplici

Buongiorno, Irpinia.
Oggi non si scrive di politica, di economia, di cronaca, e di tutto quanto compone il mosaico delle piccole e grandi miserie e ricchezze umane.

Il Buongiorno di oggi è una breve, a mio giudizio doverosa, riflessione sulla “morte”. Per carità, non voglio rattristare nessuno. Anzi.

Da diverso tempo, pur essendo ateo, ma “ateo cristiano”, ho il Vangelo a portata di mano sul comodino. Leggo qualche passo di tanto in tanto, specie quando il sonno tarda ad arrivare, consentendo ai brutti pensieri di muoversi in libertà nella mia testa.

Vicino al Vangelo, ma da epoca molto antecedente, sul comodino c’è anche “A’ Livella” di Totò. Rileggo spesso alcuni versi. Non in alternativa al Vangelo. Ne avverto la necessità quando i fatti del giorno, quelli che accadono nel piccolo angolo di mondo in cui vivo, inevitabilmente ti portano a riflettere, appunto, sulla “morte”.

Durante la settimana che si è appena chiusa, a distanza di un giorno, nel mio piccolo angolo di mondo che è Passo di Mirabella, sono venute a mancare due brave persone: Paolo Urciuoli e Rocco Capone. Ho potuto partecipare soltanto alle esequie di Rocco. Ma altrettanto intenso è stato il cordoglio per la scomparsa di Paolo.

Non posso dire che fossimo “amici” nel senso della frequentazione costante, della condivisione di interessi, della reciproca confidenza di affanni e gioie. Nelle piccole comunità, come le nostre, non si è mai semplici conoscenti: o si è “compari” o si è amici per definizione.

Lo dico perché, anche se Paolo e Rocco fossero stati due forestieri, o addirittura stranieri, immigrati a Passo di Mirabella, avrei riflettuto, come ho fatto ieri sera dopo le esequie, sul medesimo, seguente interrogativo: perché, abitualmente, ci dilunghiamo in rituali orazioni funebri, assai spesso zeppe d’insopportabile retorica, per ricordare chi in vita ha avuto un titolo o un ruolo pubblico – avvocato, ingegnere, professore, comunque dottore, industriale, onorevole, sindaco, presidente d’un qualsiasi “che”, cavaliere, commendatore, “marchese” – e mai, e sottolineo mai, avvertiamo il dovere di fare altrettanto per ricordare la gente comune, le persone semplici come Paolo e Rocco? E perché, facendo torto alla nostra coscienza e irragionevole omaggio all’ipocrisia collettiva, includiamo tra i meritevoli dell’orazione funebre anche tante persone, purché “titolate”, della cui vocazione a delinquere abbiamo inappellabile contezza?

I versi de ‘A Livella cui accennavo sopra, recito a memoria, sono i seguenti: “…’Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo, / trasenno stu canciello ha fatt’o punto /c’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme: / tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto? / Perciò, stamme a sentì...nun fa o restivo, /
suppuorteme vicino – che te ‘mporta? / Sti pagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: / nuje simmo serie...appartenimmo à morte!”.

Ora, beninteso, non dico e nemmeno lontanamente penso che debbano essere abolite le orazioni funebri. Ci mancherebbe. Tutt’al più, sarebbe auspicabile che non si esagerasse nella menzogna: chi è stato farabutto in vita non può essere accompagnato nell’al di là con l’aureola del beato soltanto perché è un “titolato”.

Sarebbe, però, cosa bella, buona, giusta, “umana”, se prendessimo la buona abitudine, come in qualche parte del mondo si fa, di dedicare l’orazione funebre anche – direi soprattutto – alla gente comune, alle persone semplici, come Paolo e Rocco, che hanno vissuto una vita lontano dal palcoscenico. E che l’hanno vissuta in maniera corretta e dignitosa, campando di lavoro, sacrificandosi per i figli, nutrendo il senso della comunità: insomma, testimoniando senza clamori ma con sicura umanità il loro passaggio su questa terra.

Un aforisma di Oscar Wilde recita così: “La vita non è complicata. Noi lo siamo. La vita è semplice e la cosa semplice è quella giusta”.

Ecco, la mia orazione funebre per Paolo e Rocco, che non erano “titolati” ma belle persone certamente sì, è mutuata da quelle parole: “Voi due avete vissuto una vita semplice. La vostra è stata una vita giusta”.