24.04.2023 - Buongiorno Irpinia
- di Gabriele Meoli -
La natura è, per Aristotele, l’insieme delle sostanze munite di un proprio moto, che non proviene quindi dall’esterno.
E così comprende non soltanto i corpi propriamente detti, ma anche l’essere umano e l’anima.
Essa non è una realtà inerte e passiva, bensì intimamente viva ed animata, che tende a svilupparsi in forme sempre più elevate e perfette, in una gerarchia finalistica di sostanze.
Differisce, pertanto, dalla materia, che, governata da un principio sicuro ed amorfo, è causa di imperfezione e resiste spesso all’attività della forma, divenendo causa dei caratteri accidentali delle sostanze.
Forse possiamo dire che, mentre la materia è inerte, la natura vive.
In particolare, l’anima, punto più elevato della natura, è ritenuta la forma (“entelechia”) di un corpo organico, cioè di uno strumento con cui essa attua il suo fine.
Le piante possiedono solo l’anima vegetativa, per la nutrizione e la riproduzione; gli animali hanno anche l’anima sensitiva, per il moto e la sensibilità; l’uomo è dotato altresì, dell’anima razionale che è quella intellettiva realizzatrice della vera conoscenza, cogliendo le essenze o concetti delle cose.
Ed a riguardo di quest’ultima funzione, Aristotele distingue un intelletto passivo (“noùs pathelicòs”), che richiede uno stimolo per agire e rendere intellegibile l’universale del particolare sensibile, ed un intelletto attivo (“noùs poieticòs”), che non ha bisogno di tale stimolo per attivare l’intelletto passivo e motivarlo all’azione, proprio come farebbe la luce che agisce sui colori, i quali nell’oscurità esistono soltanto in potenza, facendoli passare dalla potenza all’atto.
Aristotele considera l’intelletto passivo come parte essenziale dell’anima umana, mentre definisce l’intelletto attivo come “separato” e di “natura divina”; esso proviene dall’alto, entrando misteriosamente per le “porte dell’anima”; e ad esso soltanto sembra attribuire l’immortalità.
Se, come Aristotele intuì tra i primi, la natura fosse stata, anche nei secoli successivi, assimilata all’anima, invece che alla materia inerte e passiva, l’umanità, forse, non avrebbe fatto scempio di essa, assoggettandola ai suoi capricci, ma l’avrebbe rispettata e onorata, intravedendo in essa un fermento di spiritualità, e reputandola, in quanto animata e vincente, portatrice del diritto alla propria integrità.